Memoria….avere memoria, perdita della memoria, memoria a breve e a lungo termine, quanto si parla di memoria in questi ultimi anni, in riferimento soprattutto all’elevarsi del numero delle persone che soffrono di malattie neurodegenerative come la demenza, si parla del cervello, come di un muscolo da tenere allenato perché la società ci chiede di essere performanti fino alla fine dei nostri giorni. Ma, se andiamo alla radice dei bisogni di ogni essere umano, possiamo comprendere come la mancanza di memoria possa essere un problema per l’individuo perché la mancanza dei ricordi porta ad una perdita gravissima per la persona, la perdita della sua identità. Se andiamo a vedere il significato di memoria è “la facoltà di mantenere in vita i contenuti del passato”. Nell’anziano il ricordo del passato è fortemente legato al suo sentirsi persona e individuo con un background unico. Il mantenimento dell’identità per il benessere dell’anziano è assolutamente importante all’interno delle R.S.A. dove per esigenza strutturale e di vita comunitaria l’anziano si vede sradicato dalle proprie abitudini e dalla propria vita precedente e rischia di vedere la sua unicità e personalità minacciata. La naturale tendenza degli anziani a raccontare va a soddisfare questo bisogno di riappropriarsi della propria individualità tramite la narrazione della propria vita. Questo può avvenire in momenti informali quotidiani (pasti, igiene, spostamenti) nella relazione con tutto il personale (Oss, infermiere, fisioterapiste) o in momenti formali predisposti ad hoc (da chi si occupa della gestione dei gruppi, per lo più da psicologi ed educatori). In questi momenti il gruppo viene sollecitato attraverso immagini, suoni, profumi, parole a ricordare un particolare avvenimento del passato. Il racconto di uno fa si che parta una catena di ricordi di ogni partecipante in modo tale da rinforzare non solo la memoria individuale ma da creare anche una memoria condivisa di gruppo a beneficio delle relazioni fra i partecipanti anche nell’arco della giornata quando sono al di fuori dell’attività. Per avvalorare questo lavoro si può dire che si fa riferimento alla terapia della reminiscenza o al metodo autobiografico. Noi preferiamo portare l’esperienza di quanto sia piacevolmente coinvolgente ascoltare le storie dei nostri anziani e di quanto siamo fortunati a poter raccogliere memorie di storia che fra un po’ di tempo nessuno sarà in grado di raccontare.
Raccoglieremo qui i racconti degli anziani della casa di riposo partendo dai ricordi legati alla guerra. Ci tengo a precisare che la narrazione verrà riportata fedelmente come uscita dalla bocca di ognuno di loro. Vi saranno inesattezze storiche che non correggerò perché quella è la loro storia raccontata secondo la loro interpretazione e percezione personale e non quella corretta che abbiamo studiato sui libri di scuola.
Stimolo:
Paola: fra pochi giorni si celebrerà la giornata della memoria. Voi siete fra gli ultimi che possono raccontare cosa hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale ve la sentite di raccontarmelo?
Narrazione
Letizia: mio fratello era un partigiano. Lo abbiamo nascosto per tanti giorni nel crutin. Ricordo che in quel periodo piangevo tanto.
Paola: avete avuto tanta paura…
LETIZIA: non solo paura TERRORE. Un giorno i tedeschi sono passati a casa da mia mamma e le hanno chiesto di portargli le galline. Mia mamma ha detto di no allora le hanno puntato il fucile addosso. Allora lei ha radunato le galline e loro “pum, pum pum”, le hanno fatte tutte fuori. Se non le avesse chiamate avrebbero ucciso lei.
MARTINA: avevo 13 anni e un gruppo di partigiani stava a casa mia poi sono venuti i repubblicani ed abbiamo avuto dei guai.
ELSA: avevo un fratello nei partigiani a Mombercelli. Quando suonava l’allarme si andava tutti nei rifugi e i tedeschi passavano a fare il rastrellamento per portare gli uomini in guerra.
Luciana: ricordo che un gruppo di tedeschi ha messo qualcosa su un camion e l’hanno nascosto sotto la giaggia. Ma erano tedeschi bravi.
LUIGINA: mio fratello è rimasto disperso in Russia. La sua ultima lettera è del ’42 e io la conservo nascosta a casa mia. Per questo motivo quando i tedeschi passavano e conoscevano la nostra storia ci lasciavano stare. Questo ha permesso a mio papà di nascondere dei partigiani in una botola sotto la scala. In giro non c’erano ragazzi o uomini perché erano tutti arruolati.
ELSA: mio fratello era un partigiano. Un giorno sono arrivati i tedeschi. Mio fratello aveva i capelli lunghi. I tedeschi hanno chiesto chi c’era nella stanza a fianco e lui ha risposto che c’erano le sue figlie. Hanno scambiato mio fratello per una ragazza e così si è salvato
Tante delle signore raccontano di essere state delle “piccole italiane”, che andavano vestite con una divisa composta da una gonnellina a pieghe blu e la camicetta bianca. Il sabato si ritrovavano a scuola per quello che veniva chiamato “Il sabato fascista” in cui venivano addestrate con i “balilla” (i ragazzi) a fare le marce tutte insieme in fila.
MARTINA: alla fine dell’anno scolastico facevamo il saggio: venivano a vederci i nostri genitori e tutto il paese e noi facevamo le marce che ci avevano insegnato al “sabato fascista”.
LUCIANA: durante la guerra Mussolini ha chiesto tutto l’oro e il rame che avevamo nelle case. Alle donne che davano la “fede” la sostituivano con un anello di ferro.
Tutte (parlo al femminile perché gli uomini che sono da noi sono piu giovani e quasi tutti nati nelle fasi finali della guerra), raccontano che il cibo era razionato e che dovevano comprarlo tramite una “tessera” che testimoniava l’avvenuta ricezione di un tot di cibo per famiglia
MARTINA: con la tessera avevamo diritto 1,5 hg di pane a testa. Il pane era nero, integrale. Con la tessera potevamo acquistare pane, zucchero e sale. L’olio lo facevamo noi con le noci o con le mandorle. Il sapone lo producevamo con le ossa dei maiali.
In generale tutte concordano che in campagna si stava che in città perché potevano usufruire dei prodotti della terra. Avevano la possibilità anche di produrre farina bianca che però dovevano nascondere immediatamente perché non fosse razziata dai tedeschi, dai fascisti, dai repubblicani o anche dai partigiani.
LUCIANA: poi sono arrivati gli americani che lanciavano dagli aerei le stoffe di seta e cotone e i cioccolatini
LETIZIA: urlavamo “ u’rivu gli american!”
LUIGINA: alla fine della guerra quando tutti festeggiavano noi eravamo tristi perché mio fratello non era tornato dalla Russia Lo abbiamo aspettato per tanto tempo per anni è risultato disperso. Quando è morto mio papà per poter dividere l’eredità con gli altri fratelli siamo andati da un notaio che ci ha detto che dovevamo fare l’atto di morte. Dopo 6 mesi è stato dichiarato morto abbiamo potuto dividerci cosa ci ha lasciato mio padre.
LETIZIA: io ho aspettato il mio fidanzato che tornasse dalla guerra per tre anni. Tutti i giorni andavo alla chiesa di S. Pancrazio e facevo il giro della chiesa in ginocchio pregando che tornasse. Quando è tornato ci siamo sposati era il ’44 e c’era ancora la guerra. (anni fa chiesi ha Letizia come aveva festeggiato la fine della guerra e lei mi aveva sornionamente risposto “…tieni conto che nove mesi dopo è nata mia figlia”
Questi sono i punti più importanti che sono riuscita a cogliere ma la discussione è stata ancora più ricca per l’intervento degli altri partecipanti che annuivano o confermavano il vissuto. Difficile è raccogliere tutto e trascriverlo quando si è coinvolti nel racconto. Spesso mi sono fermata ed ho semplicemente ascoltato.
Il racconto si è concluso in questo modo:
LUIGINA: grazie Paola, è triste ricordare la guerra ma è bello, alla fine ci ha fatto stare bene raccontartelo.
Dott.ssa Paola Rabino
Educatrice – RSA Sandro Aluffi – Cooperativa La Strada